• «Io sono stato preso con carte false, vistosamente false: tra l’altro risultavo nato a Battipaglia, e il milite che mi ha preso (e schiaffeggiato) era di Battipaglia».

    Ferdinando Camon (a cura di), Autoritratto di Primo Levi

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Nella cattura di Primo Levi – avvenuta in Valle D’Aosta il 13 dicembre 1943 – Battipaglia gioca entrambe le parti, quella della vittima e quella del carnefice, dove la vittima è falsa e il carnefice vero. A distanza di settantasette anni, vogliamo che diventi vera anche la vittima.

Primo Levi era di Battipaglia per destino, lo diventi anche d’anagrafe, già solo per ringraziare la Storia dell’onore che ha fatto a Battipaglia di far inciampare su di essa uno dei maggiori scrittori italiani del Novecento.

Inoltre, attraverso la Giornata in Memoria, il fondo Levi, la staffetta social, con letture ed eventi, vogliamo che gli arrivi la carezza di tutti da dove gli vennero gli schiaffi di uno, straordinaria occasione per Battipaglia di mostrare la solidarietà senza tempo tra feriti, per onorare le cicatrici che porta appese al gonfalone.

Le iniziative istituzionali

Cittadinanza onoraria

Il Comune di Battipaglia ha conferito la cittadinanza onoraria alla memoria a Primo Levi.

Giornata in Memoria

Il Comune di Battipaglia ha istituito il 13 dicembre come “Giornata cittadina in memoria di Primo Levi”.

Fondo Primo Levi

Presso la Biblioteca Comunale è stato implementato il Fondo “Primo Levi”.

Citazioni

Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona «a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto».

In ogni gruppo umano esiste una vittima predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere.

A contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l’oppressione, tanto più è diffusa tra gli oppressi la disponibilità a collaborare con il potere.

Mi conosco: non posseggo prontezza polemica, l’avversario mi distrae, mi interessa più come uomo che come avversario, lo sto a sentire e rischio di credergli; lo sdegno e il giusto giudizio mi tornano dopo, sulle scale, quando non servono più. (Vanadio, p. 222)

L’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.

La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia.

Testimonianze su Primo Levi

La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi.

È la completezza. Con lui si impara a leggere, scrivere, parlare. Levi insegna una lingua e quella lingua esprime qualcosa che non è solo vicenda, ma ventaglio di strumenti.

L’ultimo appello di Primo Levi non dice: «Non dimenticatemi!»; bensì «Non dimenticate!».

Da quel passo se ne vede un altro che sta proprio di fronte, e che è il luogo dove Primo Levi fu arrestato quello stesso inverno. Era il 13 dicembre del ’43. Primo amava queste montagne: quassù assaggiò la “carne dell’orso” col suo amico Sandro, che è “il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino”, quassù fece per tre mesi il partigiano e fu catturato in un rastrellamento, quassù continuò a tornare anche dopo il lager.

Ebbene – afferma Levi – gli studi chimici universitari e la lunga professione di chimico industriale hanno dotato il suo scrivere di strumenti che agli altri scrittori mancano. L’ascoltino quegli scienziati i quali si danno artificiosamente a coltivare terreni sull’altra sponda del sapere.

Della prima volta che scorse la scritta Arbeit Macht Frei dice: “il suo ricordo ancora mi percuote nei sogni”. Odori, suoni, luci si trasformano in sensazioni tattili, direttamente fisiche, e dolorose: percuotono. Come per molti usi leviani, anche questo è di derivazione dantesca: “Ne l’orecchie mi percosse un duolo” (Inf. VIII-65): è il dolore che si fa suono, il lamento degli ospiti di Dite, la città infernale a cui Dante si avvicina con Virgilio e a cui Levi assimila il lager.

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